Presidio delle filiere agricole nell’industria dolciaria
Una tendenza in rapida diffusione
Nel settore dell’industria dolciaria è iniziata da qualche tempo la corsa al presidio delle filiere, grazie a progetti di sostenibilità e tracciabilità delle materie prime, investimenti in produzione agricola e in unità di trasformazione intermedia. Il fenomeno, inizialmente limitato alle grandi aziende multinazionali del settore, oggi si sta estendendo rapidamente anche agli operatori di dimensioni più contenute. Alla base c’è la convinzione che non sia più sufficiente garantire ai consumatori unicamente l’alta qualità del prodotto, attraverso processi produttivi avanzati e materie prime selezionate, ma che bisogni andare oltre e che la responsabilità dell’azienda non si fermi ai propri cancelli.
In questo articolo cercherò di identificare le ragioni di questa evoluzione, evidenziandone gli obiettivi e i rischi ai quali le aziende vanno incontro.
Con quali obiettivi?
Nel corso degli ultimi decenni, l’attenzione dell’opinione pubblica nei confronti degli aspetti legati alla conservazione dell’ambiente, alla tracciabilità del prodotto, al benessere degli animali, ai temi sociali quali l’inclusione femminile, il contrasto al lavoro minorile, a prezzi di mercato compatibili con standard di vita dignitosi nei Paesi in via di sviluppo, è aumentata costantemente ed ha incoraggiato le aziende dolciarie a occuparsene in modo attivo, dal momento che una quota via via crescente di consumatori riconosceva in questo del valore aggiunto, ed era disposta a remunerarlo. Oggi possiamo sostenere che il rispetto di standard minimi di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale siano diventati ormai delle condizioni di base richieste dai consumatori.
A queste considerazioni, si aggiungono le sfide lanciate da mercati sempre più saturi, con conseguente aumento della concorrenza e assottigliamento dei margini, e da filiere globali sempre più complesse e minacciate da incertezze geopolitiche, cambiamenti climatici, epidemie e migrazioni. Sintetizzando, il crescente desiderio delle aziende dolciarie di presidiare le filiere dalle proprie materie prime trova giustificazione da queste necessità:
- Assicurarsi la fornitura del prodotto, nella quantità e qualità desiderata . A maggior ragione se:
- La materia prima e/o la qualità ricercata è scarsa;
- Esiste un monopolio o oligopolio di fornitura;
- Il rapporto con i propri fornitori è sbilanciato a nostro sfavore;
- Creare valore aggiunto da trasferire sul prodotto finito attraverso:
- L’ottenimento di attributi unici per i propri prodotti, che conducano a una differenziazione da quelli della concorrenza.
- L’implementazione di programmi di sostenibilità, sviluppati dall’azienda e quindi unici, oppure tramite ricorso a partner esterni.
- Tutelare la reputazione sui temi di responsabilità ambientale e sociale. Tra gli innumerevoli esempi, cito le accuse di sfruttamento del lavoro minorile nella filiera delle nocciole in Turchia e le accuse di distruzione dell’habitat dell’orango nel Sud-Est asiatico a favore di piantagioni di olii vegetali;
- Abbattere i costi transazionali, gestendo la produzione e/o i processi di lavorazione intermedia delle materie prime;
- Beneficiare di regimi fiscali vantaggiosi nei Paesi di origine delle materie prime;
- Mitigare la volatilità dei prezzi di mercato;
- Aumentare il proprio potere di mercato;
- Disporre della tracciabilità delle materie prime;
- Approfondire la conoscenza sulla filiera e le caratteristiche di una materia prima strategica;
Uno sguardo sulle modalità operative
Le principali modalità che le aziende posso implementare per aumentare il presidio delle filiere sono:
1. Il ricorso ai fornitori
Si tratta della modalità più flessibile, dal momento che non richiede né investimenti né la costituzione di strutture dedicate all’interno dell’azienda. Il fornitore sviluppa un programma, che può essere standard per tutti i propri clienti oppure concordato con la singola azienda, e riporta a intervalli regolari e concordati riguardo le attività svolte e i risultati conseguiti.
Il controllo della filiera rimane tuttavia in mano al fornitore, per cui è fondamentale il rapporto fiduciario tra le parti e un buon bilanciamento di forze nel rapporto commerciale. E’ diffuso l’intervento di società di audit che certificano la correttezza dei dati e delle informazioni, a tutela delle parti: ritengo tuttavia che questo meccanismo si presti a delle distorsioni, visto che le società di audit sono di norma delle entità private che operano sul mercato e quindi possono difettare di imparzialità.
Infine, il tratto distintivo del programma risulterebbe annacquato qualora il fornitore offrisse lo stesso programma ad altre aziende, circostanza affatto inconsueta.
2. L’integrazione verticale
Ovvero l’internalizzazione di tutte o parte delle attività a monte nella filiera. E’ realizzabile mediante:
- la predisposizione di strutture proprie, che spaziano dall’investimento in piantagioni di proprietà fino alla costituzione di unità di trasformazione intermedia del prodotto e della sua commercializzazione.
- L’acquisto di operatori esistenti.
L’azienda, a fronte di costi e impiego di risorse superiori, può così accedere a :
- La riduzione dei costi di transazione, evitando i costi di acquisto e vendita ad altre società;
- La costanza della fornitura;
- Il presidio totale sulla filiera;
- Un maggior potere di mercato;
- La possibilità di ottimizzare la fiscalità e gestire eventuali restrizioni vigenti nei Paesi dove risiede la sede aziendale.
Esistono, naturalmente numerose situazioni intermedie. Ad esempio, nel caso in cui il prodotto oggetto dell’integrazione sia un semilavorato (cioccolato, frazione di olio raffinato, pasta di mandorle, granella di nocciola, ecc.ecc.), l’azienda può sostituire l’acquisto dello stesso con l’acquisto o la produzione della materia prima principale, esternalizzando la lavorazione e/o i progetti di sostenibilità attraverso accordi di lungo periodo.
Ma attenzione a non sottovalutare i rischi!
Ci sono, in definitiva, numerose e ben definite opportunità per le aziende che decidono di presidiare le filiere delle proprie materie prime e non c’è da stupirsi se molte di esse hanno intrapreso questa strada.
Tutto questo però non avviene a costo zero e in assenza di rischi. Anzi, le sfide sono numerose e Il primo importante ostacolo è di non incorrere nell’errore di sottovalutarle, circostanza molto più comune di quanto si possa pensare. Aziende leader a livello nazionale o sovranazionale, con risorse e competenze diffuse, oltre che storie decennali di successo, tendono a pensare che le formule che hanno dato loro successo nel proprio campo siano sufficienti ad eccellere anche in un percorso di integrazione verticale. Vediamo di seguito quali sono le principali aree di rischio:
- Costi transazionali: un risparmio effettivo non è scontato. I nostri fornitori sono più bravi di noi a ottimizzare le materie prime, e probabilmente le conoscono molto meglio. Gestiscono gli scarti di lavorazione in modo più efficiente , sia dal punto di vista produttivo sia da quello commerciale. Inoltre, se l’investimento è tarato unicamente sui nostri fabbisogni, il rischio di non beneficiare delle stesse economie di scala è concreto. Ultimo ma non meno importante, bisogna mettere in preventivo risorse e team interfunzionali dedicati, con budget adeguati.
- Profilo di rischio: un’azienda dolciaria è generalmente piuttosto avversa al rischio, sicuramente per quanto concerne l’acquisto e la gestione delle materie prime. Questo è un ostacolo non di poco conto se si deve gestire una materia prima autoprodotta, in quanto è presumibile che dovremo gestire sul mercato eccedenze e qualità difformi da quella che impieghiamo, accettandone i maggiori rischi, pena un’inevitabile minor efficienza rispetto agli altri operatori presenti sul mercato, e conseguenti costi superiori di produzione.
- Orientamento al cliente: le aziende dolciarie lavorano le materie prime unicamente per la produzione dei propri prodotti. Se abbiamo investito in un’unità di trasformazione intermedia con capacità produttiva superiore alle nostre necessità, magari per beneficiare delle economie di scala, dovremo cambiare approccio e produrre non solo per il cliente interno, ma anche per il mercato, considerando diverse specifiche tecniche nei piani di produzione e sviluppando uffici commerciali e qualità in grado di dare un servizio ai clienti all’altezza degli standard del mercato di riferimento.
- Sicurezza e costanza della fornitura: nel caso in cui si sia optato per un investimento agricolo e si sia concentrata la produzione in un determinato areale e una determinata varietà, siamo esposti al rischio che avversità metereologiche, politiche o di altra natura compromettano il raccolto o la sua disponibilità. L’impatto del rischio è maggiore al crescere del peso percentuale della produzione attesa sui fabbisogni totali dell’azienda.
- Organizzazione: dev’essere adeguata alla dimensione e all’ importanza del progetto. Nuove figure professionali devono essere integrate nell’organico, a seconda del livello di integrazione verticale: agronomi, tecnologi, commerciali esperti nelle materie prime che vogliamo produrre o acquistare e con una conoscenza approfondita dei Paesi di origine sono la base di partenza. A questi si aggiungono una lunga lista di professionisti qualora l’azienda internalizzi altri processi, quali ad esempio la gestione dei progetti di CSR e la tracciabilità. È infine importante che il progetto sia accompagnato da una struttura di governance adeguata, che preveda steering committees a frequenze appropriate e team interfunzionali composti dalle giuste figure professionali.
- Flessibilità: inevitabilmente ci troveremo di fronte a nuovi standard commerciali, qualitativi e di processo. Immaginiamo di sottoporre a un produttore un ordine di acquisto, magari dematerializzato, o di richiedere un attestato HACCP a una piccola cooperativa di un Paese in via disviluppo. Le procedure dovranno essere ripensate e rese coerenti alla nuova realtà.
In conclusione, per cogliere le opportunità minimizzando i rischi, è di cruciale importanza che l’azienda dolciaria definisca accuratamente i propri obiettivi, considerando il posizionamento dei propri prodotti e quindi le caratteristiche dei propri consumatori, oltre che al budget a disposizione, dotandosi delle figure professionali necessarie e dandosi un organizzazione coerente con l’ampiezza del progetto.